“Perché non cambi mai, il sogno è ancora intatto e tu lo sai”. Antonello Venditti nel 1999 cantava queste parole, intonando il brano “La coscienza di Zeman”, canzone dedicata all’allenatore di calcio all’epoca tecnico della Roma. Zdenek Zeman non cambia mai, né il suo carattere né il suo modo di far calcio. Neanche a 75 anni.
Quello che si è verificato in questi giorni è il quarto addio dell’allenatore boemo al Foggia Calcio, un saluto che probabilmente sarà definitivo. A mente fredda, analizzando gli eventi, il sentimento che vien fuori è di profonda delusione. “Il sogno è ancora intatto” racconta il cantautore romano, quel sogno che la Foggia sportiva (e non) aveva voglia di vivere. “Sono venuto a Foggia per cercare di ripetere quello che abbiamo fatto trent’anni fa, ma c’erano altre condizioni. Io sono rimasto uguale”, dichiara Zeman ai microfoni, seduto al bar di sempre, quello che l’ha visto negli anni invecchiare. Zeman è rimasto davvero uguale, anche negli addii. “Spero di proseguire non per me, ma per Foggia”, diceva lo stesso allenatore pochi giorni fa. Parole al miele verso una comunità che lo ha sempre riaccolto con le braccia aperte, come un figliol prodigo che ritorna quando meno te lo aspetti e quel legame familiare è impossibile da spezzare. Ma che ora si sente delusa e abbandonata per l’ennesima volta.
“Ogni giorno c’era un problema, visto che ci son problemi e non si riescono a migliorare, come non cambiamo né io, né il Presidente, allora è meglio cambiare”, ha tuonato il ceco per poi proseguire: “Perché ci siamo incontrati? Non lo so. Ha fatto un altro errore, io di stimoli ne ho tanti. Questa squadra mi ha dato grandi soddisfazioni, a lui no purtroppo. Sembra che siamo retrocessi. Una squadra senza esperienza in Serie C ha fatto miracoli, nelle ultime due partite meritavamo più dell’avversario ma poi siamo usciti. Pavone? Lui è colpevole perché mi ha portato qui, anche se continua a dire che lo ha voluto il Presidente. Ho rifiutato a squadre di Serie B, ma a Peppino non posso dire di no. Il gruppo è fatto di ragazzi seri”, spiega.
Parole al veleno verso il Presidente Canonico, ma come l’imprenditore barese ha lasciato dei grandi interrogativi sul divorzio Foggia-Zeman, allo stesso modo fa il maestro. C’è qualcosa che non torna. Perché Zdenek Zeman, uno dei più grandi allenatori d’Europa, sceglie di continuare la sua avventura sulla panchina del Foggia quando si accorge sin da subito che qualcosa non va? Perché promette, ancora e ancora, amore alla piazza, manifesta la volontà di restare non per se stesso ma per il bene e la crescita della comunità e poi va via? Queste “certe condizioni” perché non vengono tirate fuori dai diretti interessati? Sembra di ritornare indietro nel tempo, fino al 2011 quando l’ennesima separazione con il Presidente Casillo portò “Sdengo” non tanto lontano da Foggia. Quello, il terzo addio di Zeman, nel tempo si rivelò una fuga dall’imminente fallimento, ma anche un modo per ritornare protagonista nel calcio che conta attraverso la panchina che l’ha reso grande, quella del Foggia. Accadrà anche questa volta? Ingaggiare il boemo nel tempo si rivela sempre un’arma a doppio taglio: successo e divertimento o delusione e saluti.
Il termine che più volte entrambi i diretti interessati hanno pronunciato è: bugie. Per il coach di Praga è il Presidente a mentire: “C’era la firma mia, c’era la firma sua ma non c’erano le cifre. Lui non sapeva quanto io volevo”, afferma sbugiardando il Pres che poche ore prima aveva mostrato in sala stampa il contratto firmato, compilato con data, ora, cifre e numero progressivo generato dal sistema parlando con la famosa “carta canta”. Ma è un rebus, c’è ancora qualcosa che non quadra. Di mezzo, come diceva Venditti, c’è proprio lei: la coscienza.
Troppe bugie, troppe tesi e antitesi di un colpo di fulmine durato poche settimane e che ancora una volta fa male ad una città intera e a quelli che restano, quelli che sognano, quelli che amano il rosso e il nero e quelli che proveranno ancora una volta a voltar pagina…