Qualcuno una volta scrisse che troppi di noi non vivono i loro sogni perchè stanno vivendo le loro paure. Al Foggia temo stia capitando qualcosa del genere e provo a dare un mio personalissimo parere sulla condizione di “empasse” in cui è precipitata la squadra da cinque giornate a questa parte.
Dopo le tre sconfitte consecutive a Crotone, col Palermo e a Pescara, mentre mezza tifoseria aveva già messo alla gogna Grassadonia e la squadra, da queste pagine scrissi che nonostante tutto stavo dalla parte dell’allenatore e che al Foggia sarebbe bastata una vittoria per sbloccarsi e prendere coscienza dei propri (notevoli) mezzi tecnici e della propria forza. Così fu, per nostra fortuna, e alla faticosa rimonta dallo 0-1 al 2-1 contro il Padova seguirono le vittorie (sempre in rimonta) contro Benevento ed Ascoli che, senza gli 8 punti di penalizzazione, ci avrebbero portato in zona promozione diretta. Purtroppo la pausa successiva ed il passaggio a vuoto di Cosenza hanno ridotto di molto i benefici di quel filotto di vittorie, azzerarondoli del tutto con la mancata vittoria in un derby che si stava dominando per 2-0 contro un Lecce oggi terzo solitario in classifica. A Cittadella non è andata meglio con la vittoria che ci è sfuggita di mano nell’unica e rocambolesca azione dei veneti passati dopo due strepitosi e consecutivi interventi a terra di Bizzarri susseguenti a un calcio d’angolo.
Col Brescia poi due legni ed una ingenua espulsione di Camporese ci hanno tolto l’ennesima meritata vittoria e così il Foggia, fermo ai box per tre settimane consecutive, si è visto precipitare nelle ultimissime posizioni di classifica, ben distante dalla zona salvezza, alla vigilia del delicatissimo incontro di Spezia, contro una squadra che in casa aveva concesso poco o niente agli avversari. Adesso, sapere di non essere inferiori a nessuno, di aver mancato alcune meritatissime vittorie spesso per malasorte o per episodi fortuiti o infortuni dei singoli e ritrovarsi nei bassifondi della classifica, deve essere frustrante per chiunque. È allora che la paura, da sempre cattiva consigliera, prende il sopravvento su tutto e su tutti, ottenebrando la mente, mettendo in confusione tecnico, calciatori e anche buona parte di quella tifoseria che oramai vede solo nell’esonero di Grassadonia la soluzione a tutti i mali dei rossoneri. La partita di domenica, a mio modestissimo avviso, è stato l’emblema di quanto sia ancora una volta solo psicologica la “malattia” del Foggia. In un campo ostico e contro una squadra tosta e ben allenata come quella di Marino, i nostri ragazzi sono scesi in campo caricati e concentrati, convinti di essere superiori agli avversari e di poter vincere quella partita, ma sin da subito sono apparsi succubi dell’ansia del risultato, obnubilati dal timore di fallire ancora una volta mentre la classifica langue e le partite a disposizione si accorciano inesorabilmente settimana dopo settimana. E quando scendi in campo preoccupato, puoi impegnarti quanto vuoi, puoi aver provato e riprovato schemi, puoi scoppiare di salute e vigore atletico, ma la palla ti scotta tra i piedi e imbastire buone trame di gioco diventa impresa difficilissima anche per dei fuoriclasse.
È sempre con l’ansia e l’apprensione che poi si giustificano i tanti gialli subiti in una manciata di minuti e l’espulsione evitabilissima di Agnelli. Così una vittoria che era alla nostra portata, complice ancora una volta la sfortuna dei soliti due legni, non si è portata a casa. L’esempio più lampante della tesi che voglio sostenere è quello della Juve in Coppa dei Campioni. Puó essere per tanti (me compreso) squadra antipatica quanto si vuole, ma è innegabile che sia tra i dieci club più prestigiosi al mondo, sicuramente il primo in Italia, eppure di fatto sul campo ha vinto la Champions League (per giunta ai rigori) una sola volta nonostante ci sia arrivata vicina in innumerevoli occasioni perdendo (record assoluto) per ben 7 volte all’ultimo round. È innegabile che la paura di non vincere l’ennesima finale abbia fatto entrare i calciatori bianconeri in campo sempre più con un livello di tensione crescente, finale dopo finale. Troppa preoccupazione, troppa responsabilità (aldilà del valore degli avversari) hanno reso fragili i campioni bianconeri e le preoccupazioni, che se in piccole dosi danno la giusta carica adrenalinica ad un atleta, in dosi massicce bloccano le gambe, paralizzano corpo e cervello, facendoti sbagliare anche le cose più semplici, e l’effetto di tutto questo è ancor più amplificato quando sai di essere superiore agli avversari ma non riesci a superarli. Potremmo dire la stessa cosa dell’incredibile sconfitta del Brasile di Ademir nel mondiale del 1950, ma gli esempi sarebbero innumerevoli. La paura dunque, non gestita, ti paralizza, ti vuota la mente e spesso ti porta a soccombere. Che fare allora tornando al caso del Foggia? Che fare per evitare che questo fenomeno aumenti esponenzialmente portandoci magari a rischiare di lottare davvero per non retrocedere pur avendo in rosa campioni “stellari” per la cadetteria come Kragl, Iemmello, Rizzo, Deli, Mazzeo e Galano (per citarne solo alcuni) in formazione? Alla Fiorentina di un “certo” Batistuta capitó di retrocedere in B nonostante ci fossero almeno dieci squadre inferiori ai viola in quel campionato di serie A a metà degli anni novanta.
Entrata nel giro delle pericolanti non seppe gestire situazioni aliene a una formazione di quel livello, subendo la frustrazione di essere superiori ma di non riuscire a vincere su compagini nettamente inferiori. La paura nello sport come nella vita va gestita. Chi ha coraggio spesso ha più paura dei più pavidi, ma a differenza di quest’ultimi la sa gestire, non lo paralizza ma lo aiuta a trovare il modo migliore per superare indenne l’ostacolo. Essere partiti con una vittoria e aver fatto 12 punti nelle prime 7 partite per ritrovarsi penultimi non ha garantito alla squadra quell’apporto di fiducia che aiuta ad acquistare col tempo la consapevolezza dei propri mezzi, che ti spinge a giocare sereno e ad applicare al meglio gli schemi provati e riprovati in allenamento.
Allora è giunto il momento di non guardare alla classifica, di non darsi obiettivi minimi o massimi, di affrontare partita dopo partita con l’unico scopo di imporre il proprio gioco all’avversario come a Foggia siamo stati sempre abituati negli ultimi sei anni. Solo così sono sicuro che ne verremo fuori e che rivedremo in campo il lavoro di Grassadonia che, a prescindere dai risultati e dagli esoneri, ha comunque sempre espresso in carriera un gioco aperto, organizzato, propositivo e volto sempre a conseguire il massimo risultato ovunque e contro chiunque nonostante non abbia mai avuto formazioni di particolare caratura tecnica. Dunque rimbocchiamoci le maniche, bando ai timori e alle paure di chi oggi si vede impaludato nei bassifondi della classifica e giochiamo orgogliosamente da Foggia cominciando col Venezia lunedì sera. Il pastore M.L. King, quando arringava le folle dei neri oppressi, minacciati e vessati dalla potente “white society” americana, parafrasando un antico proverbio evangelico, diceva: “One day fear knocked on the door, courage got up and opened it to see no one!” [Un giorno la paura bussó alla porta, il coraggio andó ad aprire e non vide nessuno!]
Francesco Bacchieri – www.ilfoggia.it