Torniamo per un attimo all’11 maggio, al Bentegodi di Verona, fra quelle 3.000 anime rossonere rimaste con un urlo strozzato in gola, mentre una tragedia sportiva si consumava beffarda davanti ai loro occhi. Dieci minuti fatali che ci hanno portati dalla gloria dell’impresa all’abisso della disfatta, dalla gioia di una salvezza strappata sul filo di lana, alla delusione di una sconfitta alla Dorando Petri, a pochi metri dal traguardo.
Ma se allo sfortunato maratoneta italiano il destino riservó ben altro epilogo, applaudito da 75.000 persone ed esaltato addirittura da Conan Doyle, tanto da suggerire alla regina Alessandra di omaggiarlo con una coppa d’aro e d’argento, a noi i 10.000 del Bentegodi hanno riservato ben altra sorte.
Come sconfitti nell’arena, umiliati e vinti, il pubblico veronese non ha avuto pietà. Le offese, le ingiurie, sono diventate scherno, con cinismo, senza alcun ritegno. Ci hanno accompagnato alla porta scandendo ritmicamente quel “serie C” urlato vergognosamente, quasi con cattiveria, persino dai giovanissimi allievi veronesi delle scuole calcio, gli stessi che avevano sfilato festanti nell’intervallo, applauditi indistintamente da tutti i tifosi rossoneri assiepati sui gradoni dello stadio gialloblù. Ai vinti, se valorosi, si concede sempre l’onore delle armi, e un applauso consolatorio avrebbe collocato i tifosi scaligeri nell’olimpo delle tifoserie italiane. Così non è stato. Una tifoseria “piccola piccola” ha dimostrato di non avere nè anima nè cuore, e presto quello che è dato sarà reso, perchè chi era a Verona l’11 maggio quelle urla non le potrà dimenticare, non le dimenticherà. Una retrocessione ti segna, ti umilia, ti lascia attonito, impotente, indifeso. E a chi ha questa squadra nel cuore adesso il futuro fa più paura.
Passata l’appendice dei ricorsi, ancora aggrappati ad una flebile speranza, la serie C l’abbiamo finalmente metabolizzata e ci tormentano come e più di ieri le solite angosciose domande.
Che ne sarà del Foggia? Chi guiderà questa squadra nel futuro? Chi rileverà i fratelli Sannella che sembrano al tramonto della loro avventura alla testa del nostro sodalizio? C’è futuro per questa squadra?
Una risposta sembra difficile oggi, un po’ come chiedersi se c’è vita nello spazio: forse, probabilmente, anzi no, quasi impossibile! I social ribollono di ipotesi. Anche una battuta, un auspicio, diventa indiscrezione. I Della Valle comprano, hanno venduto la Fiorentina ed ora puntano ad investimenti sul Gargano. Quella che è una boutade diventa notizia e qualcuno ci crede. Così nasce una fake. Uno la pensa, uno la scrive, migliaia finiscono per crederci. Così il Foggia passa di mano e di categoria cento volte. Si affacciano imprenditori alimentari, anzi no, del cinema, meglio ancora se vengono dall’america. Ognuno ha il suo scoop, ognuno la pronta smentita.
La verità è che evidente che il calcio a Foggia rischia di tornare ancora una volta nell’oblio, e non sarebbe giusto.
Non possono cadere nell’oblio due curve fra le più organizzate e calorose d’Italia, forse d’Europa.
Non puó tornare nell’oblio una tifoseria che vive di calcio e che ha portato colori e numeri mai visti in tutti gli stadi cadetti.
Non puó tornare nell’oblio una città che fa leva sulla sua meravigliosa squadra per tornare a sperare e a sognare.
Questo voglio dire a chi è padrone del Foggia adesso e soprattutto a chi lo sarà domani, se un domani ci sarà. In quella squadra, in quei colori e su quelle maglie non c’è il destino di un club di calcio, ma quello di una comunità che non vuole e non puó smettere di lottare per il suo avvenire.
Chi vuole, chi puó, se lo ricordi, perchè non ci lascino soli e derelitti, in questi giorni d’inquietudine.
Fonte: www.miticomagazine.com – Francesco Bacchieri