È amara la sconfitta. Brucia sapere che potevamo essere noi i promossi. E invece è il Pisa ad accedere al campionato di calcio di Serie B. Brucia ancor di più perché a metà campionato il Foggia ha accumulato sconfitte che potevano essere arginate. E se fosse stata più regolare sul piano di gioco avrebbe potuto vincerlo il campionato di Lega Pro. Se avesse, infatti…
Partite perse non per mancanza di tecnica sul campo, ma per scarsa concentrazione che ha sortito sbagli, regalando assist agli avversari. La concentrazione, si proprio quella, cagionata da uno stato psicologico tanto importante e molto labile se qualcuno lo provoca. In alcuni di loro, nei calciatori ho anche scorso riluttanza a crederci, la stessa che si è vista in campo nell’ultima partita, quella della finale di Lega Pro, giocata ieri, domenica 12 giungo 2016, (…indimenticabile purtroppo), terminata allo Zaccheria 1 a 1, dopo il 4 a 2 del Pisa all’Arena Garibaldi. E le avvisaglie c’erano.
Oggi non starò a commentare la gara di ieri. Si, dirò qualcosina per far comprendere cosa è accaduto in campo; il resto sarebbe solo una ripetizione di ciò che i colleghi giornalisti hanno già abbondantemente scritto e le testate locali pubblicato. Mi soffermerò sull’aspetto critico di una gara, di andata e di ritorno, che ha prodotto più asprezze che fair-play. Intimidazioni ai tifosi, offese e tribuna negata ai dirigenti societari, biglietti esauriti prima di essere venduti e poi rinvenuti tra le mani dei bagarini e degli amici degli amici, sono solo alcuni esempi che hanno caratterizzato le due partite della finale. E ciò non rende giustizia allo sport e ai tifosi.
Come dissi nel periodo “oscuro” dei Satanelli “Fino a quando la testa sarà quadrata la palla che è tonda non entrerà mai nel rettangolo per vittorie risolutive”, a metà campionato lanciai pubblicamente un messaggio chiaro: lo spogliatoio non è compatto. Certo, per me è stato così, perché la condizione mentale di un atleta è fondamentale, soprattutto quando lo spogliatoio è spaventato da acredini interne tra calciatori e società. So quello che dico, che del resto è quello che è accaduto e che chi ha seguito il Foggia in tutto il suo campionato ha potuto comprendere. La società del Foggia è intervenuta e ha saputo arginare il problema, ma non eliminarlo. Ha ridato fiducia a De Zerbi e, secondo me, ha fatto bene. Ma ciò si è ripetuto, lo spogliatoio diviso, facendo leva sulla fragilità di alcuni calciatori, consci di un’età che inesorabilmente li costringerà ad appendere le scarpette al chiodo. Per loro era un’opportunità fare il salto in B, non colta e chissà perché…
In campo, in queste due ultime partite, ho visto due squadre con la stessa maglia: il Foggia a Pisa e il Foggia a Foggia. In pratica ho visto un Foggia come una moneta che ha due facce che non s’incontreranno mai. Non va bene e questa sconfitta farà da lezione a chi non ha saputo, o forse voluto, leggere tra le righe di un copione che si ripeteva inesorabilmente di giorno in giorno, mentre i compensi fluivano regolarmente.
È amara la sconfitta e brucia nell’intimo di ogni persona che ha creduto nel salto, lontano 18 anni e che ormai diverrà 19esimo. A Pisa il Foggia nella prima metà di gara ha mostrato le unghie, riagguantando un risultato che lo avrebbe condannato. Nella ripresa ha ritratto gli artigli concedendo spazi e commettendo errori, troppi per professionisti che volevano la serie B. Non è malizia ma coerenza di ciò che si è visto in campo, probabilmente condizionati da facili diffide per cartellini gialli accumulati. A Foggia, nella partita di ritorno, quella di ieri tanto per intenderci, la finale che valeva una stagione e il futuro di calciatori, dirigenti, allenatori, si è visto un Foggia che sulla carta era tatticamente valido ma in campo era a tratti spento, con la testa altrove. I ragazzi di De Zerbi ce l’hanno messa tutta per quello che potevano esprimere fisicamente, non mentalmente, tentando quello che potevano fare contro un Pisa sornione e chiuso a catenaccio. Proprio così, ho avuto questa impressione. Correggetemi se sbaglio. In campo c’erano undici calciatori che non comunicavano, che si affidavano alle estemporaneità dei singoli, quelli che anche per il “Fattore C” riuscivano a risolvere un match. “Fattore C”, quello che manca al Foggia e a Foggia, una variabile che spesso la definiamo colorita e folkloristica, ma che invece è anche la risultante di intenti a noi non detti, ma conosciuti, e intavolati e decisi laddove burocraticamente si decide il futuro anche di chi deve spiccare il volo anche per meriti pregressi.
Brucia la sconfitta e l’amarezza che ci accompagnerà nei prossimi giorni non lascerà spazio a giustificazioni, se non quelle di incolpare qualcuno. Mister De Zerbi ce la messa tutta, la tifoseria anche, I Patron Sannella pure, il buon Presidente Lucio Fares altrettanto e con loro i beniamini di un Foggia Calcio che da alcuni anni indossano orgogliosamente la casacca rossonera. Ma non basta. Ci vuole dell’altro. Stigmatizzare la bottiglietta semivuota e di plastica lanciata in testa a Gattuso è un dovere verso lo sport, a favore di quel fair-play che tanto invochiamo e ci riempiamo le bocche, ma che all’atto pratico diventa spot per vetrine che vorremmo infrangere una volta per sempre. Tuttavia, e per obiettiva riflessione di chi ha vissuto quel momento ascoltando in diretta i commenti a bordo campo, “Ringhio” sa sceneggiare. La bottiglietta è finita sulla testa del mister e il colpo è stato avvertito dallo stesso. Gli avrà fatto male, dispiace, e ciò è un atto che non va mai fatto e replicato. Comunque buttarsi a terra, come se fosse stordito, a me è sembrato ingigantito, quasi che “Ringhio” fosse il dodicesimo calciatore in campo. Un gesto che ha rotto quel patto verbale tra le due società stipulato durante la conferenza stampa congiunta, dove si era intessuta un’alleanza dal clima amichevole, buttandosi alle spalle il passato. Del resto la sua carriera è colma di avvenimenti similarmente attinenti a tal evento. È stato un calciatore irruente, molto spesso discusso, che ha saputo animare le masse a suo favore, e imbastire un evento è il miglior modo per spezzare ritmi e infuocare spalti e panchine. “A pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca” disse sapientemente Andreotti. Circa 15 minuti di interruzione di gara, tra spintoni e sfide verbali rivolgendo lo sguardo alle telecamere è quella tattica che scaltramente un calciatore, o ex che sia, interpreta per aizzare le folle e persuaderle. Alterchi che non mi son piaciuti, come pure il lancio della bottiglia, che ripeto, va condannato con fermezza e, aggiungo, punito secondo legge. 15 minuti di paura, a dir il vero, poiché il campo è stato invaso da alcuni tifosi rossoneri e l’imminente sospensione della gara poteva diventare quel 3 a 0 a tavolino. Poteva diventare quella sconfitta indotta anche da pantomime non degne di professionisti. Comunque la storia farà da giudice e inesorabilmente darà sentenza, che oggi da ragione a Gattuso che ha saputo traghettare il Pisa in B condannando il Foggia in C. E lo ha fatto con le valige pronte per altra destinazione e, non a caso, come Caronte.
Da domani inizieranno le scelte societarie. Non sappiamo chi rimarrà e chi andrà via. De Zerbi ha fatto ben intendere che non scenderà a compromessi “…neppure con il diavolo” ha affermato dopo la gara in conferenza stampa. Si sente pienamente parte di noi e pronto a rifarci sognare nuovamente, a ridare ai tifosi rossoneri quell’adrenalina che ha reso il tifo dello Zaccheria degno da Champions League. Ma lui ha un contratto triennale e tutti ben sappiamo che le clausole possono essere sciolte legalmente col denaro. Noi foggiani speriamo che rimanga, per continuare un progetto fortemente voluto dai fratelli Sannella e costato molti soldi.
Ci riproveremo nel prossimo campionato, ma questa volta per vincerlo giacché la storia dei play-off ci è avversa. Nel 2007 ottenemmo la stessa sorte di oggi, ancora condannati in serie C contro l’Avellino. Una condanna che riguarda tutta la città di Foggia. E si, perché il giuoco del calcio non è solo sport e divertimento e una domenica allo stadio. È molto di più. Una società calcistica che milita in serie maggiori, A e B, è portatrice di economia. Intorno a essa vi sono sponsor, attività commerciali che aprono e che vendono, istituzioni che deliberano e determinano progetti per la crescita della città. Io, come del resto credo tutti, questo lo chiamo pubblico benessere, bene comune, che diventa laboriosità, crea e rinnova infrastrutture, che crea lavoro quello che sostanzialmente argina il malessere sociale, non più indotto a delinquere perché sedotto dal malaffare. Foggia ha bisogno di tutto questo e una squadra di calcio può davvero determinare il cambiamento di una collettività che da anni vede chiudere esercizi commerciali, strutture abbandonate, commercianti sotto lo scacco del racket, cittadini impauriti tra le vie della città per il delinquente di turno che scippa, appartamenti derubati in pieno giorno. Ovviamente a tutto ciò bisogna mettere in campo politiche sociali, di sicurezza e legalità, che garantiscano il Bene e la Sicurezza e la Crescita Comune. Un compito dovuto a chi ci amministra e che spesso noi dimentichiamo quando li legittimiamo attraverso un voto speso e non investito.
Una società sportiva, prevalentemente calcistica, crea indotto, quella filiera a km zero che favorisce i consumi e anche il turismo, contribuendo al benessere sociale e cittadino che si trasforma in lavoro.
Ecco perché il Foggia Calcio deve rimboccarsi le maniche e credere nel futuro. Non è solo per mero e puro prestigio. Può farlo, ha le carte in regola per riuscirvi. E con essa tutti noi, cittadini, tifosi, foggiani e gente della provincia e della sempre “vicina” Lucania che tanto ci ha dato come tifo negli anni passati. E tifo è anche ospitalità che vuol dire economia locale, business. Affidare tal responsabilità a undici uomini in campo scelti dall’allenatore e non da altre entità e cause è un dovere societario: il prossimo anno scelga meglio, specie gli over ed ex e metta meglio in pratica i detti dei nostri avi, “mazz’ e panella fann e figl’ bell….panella senza mazz’ fann’ e figl’ pazz”…
Questo è il mio umile pensiero, sempre libero.
Noi ci abbiamo creduto e ci crediamo. E voi?
Ad Maiora!
Nico Baratta