Oggi, 4 luglio 2019, dopo lunga e penosa malattia è deceduta la squadra del nostro cuore, tanto amata da chi l’ha conosciuta, quanto bistrattata e umiliata da chi avrebbe dovuto custodirla vegliando su di lei. Così, mentre a New York si preparano i fantasmagorici fuochi di mezzanotte sulla baia dell’Hudson per festeggiare il giorno dell’Indipendenza, a Foggia volano gli stracci e continuano le rese dei conti. Abbiamo il morto in casa e solo sentir parlare di calcio, di preparazioni estive, di grandi e piccole squadre che stanno per allestire il prossimo campionato, ci spezza il cuore. Sto cercando di isolarmi da tutto e da tutti, non guardo, non leggo.
Non m’importa del nuovo stadio dell’Atalanta, non voglio sapere dei Conte e dei Sarri, di sogni e di Coppe dei Campioni, non voglio sapere dove e di chi faranno le fortune i campioni che avevamo in squadra e che tra scuse e commiati preparano la valigia per andare a rafforzare le rose di chi, solo poche settimane fa, era nostro avversario sul campo. Andranno presto a festeggiare sotto curve colorate con altri vessilli, la vita per loro continua, come sempre, come abbiamo sempre saputo. Per noi invece forse sì, forse no, aggrappati alla speranza di un Sindaco che sta cercando il bandolo di una matassa aggrovigliata da sempre. Fare calcio a Foggia sembra una maledizione. Ci riescono a Ferrara, a Sassuolo, in un quartiere di Verona, ad Empoli e a Chiavari, persino a Pordenone, con tifoserie che se messe tutte insieme non fanno una partita del Foggia allo Zaccheria.
Eppure loro ci sono, le ritroveremo sugli albi e le figurine, su Sky o su DAZN, sulle pagine rosa patinate della Gazzetta, mentre il nostro oblio è già arrivato. Domani gli annunci funebri su tutti i giornali. Le solite ovvietà. Le lacrime di coccodrillo. Poi calerà il silenzio su una squadra ma soprattutto su una tifoseria che è stata l’orgoglio del calcio italiano rivaleggiando in questi due anni con i club metropolitani per pubblico e calore. Che tristezza infinita. La mia compagna mi dice di lasciare perdere, di pensare ad altro. “La vita continua” mi dice, ma è di Piacenza, che ne vuole sapere? Cosa sa lei del Foggia? Cosa sa di cosa è per noi questa maledetta squadra? Maledetta perché perseguitata da un destino infame quanto lo sono stati quelli che in queste condizioni ce l’hanno ridotta, ingannandoci fino all’ultimo, fino alla fine. In questo immenso dolore le scuse, le parole di conforto, persino le pacche sulla spalla mi danno fastidio. Oggi il Foggia è morto e non mi interessa sapere cosa avverrà domani, se ricominceremo e con chi ricominceremo. Oggi tutto questo non mi interessa, acuisce solo la mia rabbia.
Per una volta non userò parole di speranza, di conforto. Non sono un automa, non sono un androide, non ho sempre il sorriso pronto per ogni circostanza. Oggi non ho sorrisi da elargire a nessuno. Oggi voglio piangere con voi, in silenzio, voglio chiudermi nel mio dolore. A New York presto abitanti e turisti correranno festanti sul Ponte di Verrazzano per godersi le luminarie dalla posizione migliore. Io, settemila chilometri ad est, appoggerò la faccia sul cuscino cercando solo di dimenticare, e so che in questa solitudine saremo in tanti, a Foggia ed altrove.
Francesco Bacchieri