Oggi non si puó non ricordare quel 23 aprile di tre anni fa. Tornavamo in B dopo 2 decenni e sembrava l’alba di una nuova era. La storia purtroppo ci raccontó tutta un’altra vicenda e il sogno si riveló troppo presto un incubo solo due anni dopo, in una agghiacciante partita a Verona.
Quella storia spero abbia insegnato a tutti che di sogni non si vive, bisogna costruitsi il futuro vigilando sul presente, sempre, giorno dopo giorno, rimanendo coi piedi ben saldi incollati al terreno, e che non basta essere una grande piazza, avere un grande cuore ed avere una passione smisurata per i propri colori per rimanere protagonisti nel calcio che conta e non solo.
Nell’anno del centenario ci è toccato ripartire dalla D e non è bastato, perché a un passo dalla meta il mondo ci è crollato addosso, travolti da avvenimenti più grandi di noi, incubi divenuti realtà, lasciando il nostro destino, ancora una volta, legato a decisioni avulse dal rettangolo di gioco, ma che ci verranno imposte dai tavoli di palazzo, nel calcio e non solo.
Cosa ne sarà allora del Foggia e di noi nella società che verrà, nel pianeta del post-coronavirus? Quando e in quale categoria potremmo ancora tornare a sentirci un unico cuore ed un unica voce sui gradoni del Pino Zaccheria e per le strade della nostra città? Cosa rimane di quel 23 aprile del 2017, oggi che sembra passato un secolo da allora?
Rimangono i suoni e le sensazioni di un popolo che voleva tornare a sentirsi grande. I baci, gli abbracci, le risa di cinquantamila anime confuse per strada in un istante interminabile di felicità: l’ultimo anelito comune di gente che aveva voglia di vivere, di esistere, e che oggi guarda al proprio futuro con angoscia, immobile dietro ai vetri di finestre e di balconi, nuovi muri innalzati dal destino in questa “Berlino mondiale” e che opachi ci dividono dalla vita che verrà.
Francesco Bacchieri – www.miticomagazine.com