Il gol al Lecce da tatuarsi, il suo principino Gregorio e il modello Zanetti, a tutto Coletti: “Foggia è un posto semplice, la gente ti ferma e ti invita a pranzo…”
Dice di aver perso il conto. E che forse con i prossimi arriverà quasi a toccare quota quaranta. Ama i tatuaggi Tommaso Coletti e non più tardi di una decina di giorni fa, ha inciso sulla pelle il suo numero, il 21. “Si, dietro al polpaccio. Ci ho aggiunto i cuoricini rossoneri e la scritta Ares. E’ il Dio della guerra, ed è uno dei soprannomi che mi sono guadagnato nello spogliatoio – racconta in esclusiva a Gianlucadimarzio.com – Ma questo non sarà l’ultimo tatuaggio, anzi….”. Significa che sta già pensando al prossimo, questione di qualche giorno: “Voglio riprodurre sulla pelle l’esultanza dopo il gol al Lecce. Prenderò spunto da una foto che mi hanno scattato proprio in quegli attimi”. E che attimi : “Credevo di fare gol, ne ero certo anche perché ci avevo provato altre volte. Ero sommerso dagli abbracci dei miei compagni dopo essermi inginocchiato e tutti mi urlavano cosa hai fatto?, cosa hai fatto?” .
Quello rischia di diventare il momento simbolo della stagione del Foggia e, forse, anche il punto più alto della carriera di questo biondo canosino, che ha studiato talmente tanto da difensore centrale, da diventare una colonna portante della capolista: “Qua ci stiamo realizzando tutti. Come squadra, a livello personale, come ambiente. Con i compagni e col mister, siamo l’emblema della compattezza. In campo, nello spogliatoio e nella vita privata”.
Coletti si adatta subito ai luoghi che lo ospitano, si integra alla perfezione con l’ambiente: “Di Foggia apprezzo molto le cose semplici, quelle che purtroppo vengono soffocate da quelle brutte che accadono. Un giorno ero seduto a mangiare un panino su una panchina in una zona residenziale, quasi alla periferia. Una famiglia mi riconosce e dopo qualche chiacchiera col più piccolo, scatta l’invito a pranzo. Come se ci conoscessimo da tantissimo tempo. Non ho potuto accettare, ma al ragazzino di quella famiglia ho regalato il mio pantaloncino. Sentivo davvero il bisogno di sdebitarmi per la naturalezza di quel gesto”.
Il suo di bimbo, invece, di anni ne ha quattro, si chiama Gregorio e fa brillare gli occhi a papà Tommaso: “Voglio regalargli un avvenire di sicurezze, voglio che si realizzi in quello che gli piacerà, come ho fatto io. Io sono tranquillo perché ho avuto la fortuna di guadagnare bene e di fare quello che volevo. Ora tocca a lui”. E quando si parla di certezze, lui tira fuori la storia di suo papà: “Si chiama Sabino, ha giocato a calcio, è stato una bandiera della squadra della mia città, il Canosa. Ha assecondato da subito il mio sogno, senza illudersi o creare in me aspettative. Mi accompagnava ogni giorno a Bari per gli allenamenti, alla fine dei quali volevo sempre il suo parere. Non c’è mai stata una volta in cui mi ha detto di essere soddisfatto al 100%. Voleva sempre che mi migliorassi, che continuassi a lavorare per crescere e che non mi accontentassi”.
Coletti ha simpatie interiste, tra i suoi modelli c’è Javier Zanetti, che, dopo il ritiro, ha scelto di sedersi dietro la scrivania. A differenza di chi, invece, ha preferito rimanere in campo, anche se in panchina. E sfogliando l’album dei ricordi, il pensiero di Coletti va verso un allenatore in particolare, Roberto De Zerbi: “È un numero uno. È troppo forte, gli voglio molto bene. Mosca bianca in quest’ambiente, è leale ed è capace di tirarti fuori l’anima”. Tommaso ha rinnovato col Foggia da poco, resterà in rossonero almeno fino al giugno del 2018. Vola il suo Foggia verso la Serie B, volava – quasi – pure la sua Alfa Romeo 145 bianca comprata ad inizio carriera: ” . “E’ stato il mio primo regalo a me stesso, quando ho cominciato a guadagnare qualcosa. Giocavo nel Martina, pagai 4000 euro, non era messa benissimo. Chissà di quanti proprietari era stata prima…”. Scherza Coletti tra un ricordo e un altro. Fanno ancora più effetto, offrono il senso della persona realizzata. A pochi passi, ad un sol punto da un obiettivo o da un sogno nuovo di zecca. Di prima mano, senza dubbio.
A cura di Antonio Di Donna