Noi siamo LEGGENDA!

Noi siamo LEGGENDA!

Il sig. Pillitteri di Palermo ha appena fischiato la fine di Perugia – Foggia che dal settore ospiti del Renato Curi si alza forte l’incitamento ai giocatori del Foggia sconfitti sì, ma solo dall’arbitro e dai suoi (o)errori. Dagli spalti nessuno di noi ha percepito in presa diretta il furto che abbiamo subito per mano di un direttore di gara che, per questa partita ma anche per i suoi precedenti, non vorremmo avere nemmeno in una sfida tra scapoli e ammogliati. Come già successo a Pescara, ad Empoli e a Bari è commovente il tributo rivolto a questi ragazzi in rossonero che, con capitan Agnelli in testa, rivolgono lo sguardo alla loro curva, quasi a scusarsi per non averci saputo e potuto regalare l’ennesima (e meritatissima) vittoria in trasferta. Nel mio girovagare per gli stadi d’Italia, confuso tra le migliaia di tifosi sparsi per la penisola sotto le mentite spoglie di “Francesco da Prato” (improbabile supporter rossonero dall’accento toscano letteralmente inventato dall’intuito massmediatico di Biagio Porricelli), ormai mi sono abituato ad esodi biblici di un popolo che riconosce la propria identità mutuandola dalla fede calcistica per la sua squadra di calcio. Ma c’è qualcosa a cui è difficile credere ed è difficile abituarsi, un miracolo che questa gente perpetua tutte le settimane, qualcosa d’inaudito nel mondo pallonaro: l’inversione dei ruoli! È semplicemente straordinario constatare come i tifosi del Foggia ormai si ergono a protagonisti assoluti, smentendo d’un tratto tutte le teorie del filosofo francese Guy Debord sull’ineluttabile passività dello spettatore nella società moderna occidentale. Non ammirano e basta, ma vengono ammirati dai loro stessi beniamini prostrati ai loro piedi dopo ogni partita. Non c’è un giocatore del Foggia che non abbia una foto sotto la nostra curva in trasferta, testimonianza da tramandare a figli e nipoti per non dimenticare di aver avuto il privilegio d’indossare “quella” maglia, una delle più amate, una delle più invidiate. Così non sono le vittorie del Foggia a fare notizia ma, unici in Italia, il suo numerosissimo e appassionato seguito.

Rientrando da Perugia, in un bar, sento un loro tifoso commentare la partita, aldilà della vittoria:

Lo interrompe uno dei suoi interlocutori, un camionista con il “grifo” tatuato sul polso:
E sì, siamo matti e lo siamo a tal punto che siamo diventati leggenda. Ovunque andiamo mettiamo in allarme le tifoserie avversarie “impaurite” di sembrare in minoranza nel loro stesso stadio. E’ una vera e propria chiamata a raccolta che gli Ultras delle altre curve convocano quando è il Foggia la squadra attesa nelle loro città. “Loro 2.000, noi 10.000” recitava un volantino nel capoluogo umbro prima della partita e questo la dice lunga sulla paura del confronto che ormai è consuetudine quando siamo noi l’avversario di turno. E non è un caso che quest’anno il Foggia ha risultati da record negli incontri fuori (si fa per dire) dallo Zaccheria. I numeri sono impressionanti (comprensivi di chi ha preferito la tribuna al settore ospiti). Quasi 4.000 a Cesena e ad Ascoli, più di 2.000 a Bari e a Perugia, 1.800 nella gelida Novara, oltre 1.500 a Carpi, Brescia e Vercelli, 1.200 a Pescara e ad Avellino, oltre 500 a Chiavari (nonostante assurde limitazioni) e sotto la pioggia a La Spezia, 300 nella impossibile Salerno e più di 250 nella lontana Palermo, mentre a Parma siamo già attesi a migliaia da tutto il centro-nord. Bisogna chiamarsi Juve, Inter, Milan, Napoli o Roma per essere superiori (non lo dico io ma un sito prestigioso ed internazionale come FoxSports), ma lì si parla di città metropolitane, milioni di tifosi diffusi dappertutto e lotte per scudetti o piazzamenti Champion e non di un anonimo dodicesimo posto in serie B. E così che per assurdo torniamo sempre vincitori da ogni trasferta, protagonisti incontrastati di epiche “battaglie” a colpi di cori, slogan, sciarpate, bandiere e striscioni sui gli spalti, mai domi. Ma non è solo il numero a contraddistinguerci, ma anche il modo con cui ci poniamo. Ed è spesso l’ironia e l’autoironia a farla da protagonista, doti che Oscar Wilde promuoveva a sinonimi d’intelligenza. Così a Bari ai 33.000 che saltavano cantando “chi non salta un foggiano è” abbiamo risposto applaudendo, saltando e cantando il loro stesso refrain ridacchiando sarcastici di gusto, mentre al grido razzista di “benvenuti in Italia” che assordante ci hanno vomitato addosso 8.000 bresciani al Mario Rigamonti abbiamo contrapposto un paradossale “alza la voce, coniglio alza la voce”, concludendo con un inverosimile “a mezzanotte, uscite a mezzanotte” urlato in meno di 300 a Salerno in faccia all’intera curva granata, irritata e indispettita per l’inaspettata sconfitta. E spiazzante questo modo di tifare e sembra proprio pescare a piene mani dal repertorio dello scrittore irlandese quando ricordava scherzando (ma non troppo) di non discutere mai con un idiota, “…ti trascina al suo livello e ti batte con l’esperienza”. Attenzione però, c’è molto di più dietro il linguaggio da stadio, spesso dall’apparente contenuto minaccioso. È un linguaggio usato non per ferire, come una volta, ma appunto per deridere (è questa la grande novità), dunque per sdrammatizzare. Questo è il miracolo più grande, l’esempio che speriamo trascini. Finalmente, aggiungo io.

Nella letteratura classica gli eroi, le battaglie e il sacrificio sono le regole della leggenda, e la leggenda non è mai sopra le righe, è sinonimo di purezza, di correttezza e appunto di esempio, e nessuno potrà mai dire che i nostri esodi non siano stati un esempio per tutti di come il calcio si può e si deve interpretare sui gradoni degli stadi. Tutto comincia e tutto finisce nelle curve. Le prese in giro, gli sfottò, la competizione a chi grida più forte iniziano e finiscono con la partita per tornare, si vinca o si perda, pacificamente a casa riposte nelle auto e nei pullmini le prestigiose insegne rossonere. Questo abbiamo insegnato a tutta l’Italia anche se sui media fa meno notizia di un petardo o di un cassonetto rovesciato dai soliti idioti che non hanno ancora capito che essere “Ultras” vuol dire sì essere “estremi”, ma che nel calcio non c’è niente di più estremo di una tifoseria che si contrappone negli stadi ma che riesce ad abbracciare suo fratello con la maglia di un altro colore quando lo spettacolo finisce.
Noi siamo proprio così. Noi siamo LEGGENDA!

Francesco Bacchieri – www.ilfoggia.com