Gli allenatori come le castagne, cadono in autunno. Diminuiscono i posti di lavoro e la concorrenza è spietata
Il primo, prezioso, consiglio che l’indimenticabile Italo Allodi, un precursore del calcio di casa nostra, allora magnifico rettore del Settore Tecnico di Coverciano, dava agli allievi che frequentavano i corsi per diventare allenatori, era quello di firmare il contratto, ma di non disfare mai le proprie valigie. Di tenerle sempre pronte. Una sorta di precariato perenne conseguenza della eccessiva volubilità dell’ ambiente calcistico territoriale e delle tante componenti negative che ne condizionano la gestione tecnico/sportiva . A tutti i livelli ed in tutte le categorie. Alle volte, infatti, basta perdere un paio di partite e ci si trova già sulla graticola. La “curva” che chiede l’ esonero. Gli scricchiolii dello spogliatoio. Il rapporto che si incrina con il direttore, perché è risaputo, nelle difficoltà ognuno protegge il proprio fondo schiena. Le pressioni esterne sul presidente di chi raccomanda e di chi “sponsorizza”! Fatto sta che, nello scarica barile degli insuccessi, per una scelta divenuta nel tempo storica, a soccombere sono sempre e soltanto gli allenatori.
Una professione senza dubbio difficile. Dai tempi in cui il “mago” Helenio ed il “paròn” Nereo vincevano le Coppe dei Campioni con una semplicità disarmante, le tecniche si sono evolute. Direi esasperate nella tattica ed anche nella terminologia. La palla filtrante è diventata una “imbucata”, i contropiede si chiamano “ripartenze”, la palla respinta non è più una palla persa, ma una “seconda palla”. Per vincere però bisogna sempre metterla dentro e spesso accade, in barba a tutte le alchimie tattiche, solo grazie alla destrezza personale del singolo. Un guizzo travolgente o una parabola imprendibile, che fanno balzare in piedi lo stadio.
A Santa Maria Novella, presso l’Università del calcio, si sfornano allenatori in quantità industriale. Anno dopo anno. La concorrenza è diventata spietata. I “santoni” del calcio hanno l’ abitudine, consolidata, del “dì che ti mando io” e di raccomandare i loro allievi prediletti. I risultati sono spesso negativi. Alle volte alcuni, pur di lavorare, accettano condizioni da capestro, arrivano anche a firmare, contestualmente, contratto economico e risoluzione consensuale del rapporto. In definitiva una sorta di licenziamento annunciato. Sopratutto in considerazione del fatto che i posti di lavoro, frutto della riforma dei campionati, sono diminuiti e si sta affermando, sempre di più, quella moda degli allenatori che viaggiano con l’ ormai famoso “zainetto”. Accade anche in Lega Pro.
Esiste altresì un malcostume dirigenziale, recentemente denunciato dagli stessi interessati. “Ti faccio lavorare, quanto mi porti di sponsorizzazione?” è una richiesta, ormai ricorrente, avanzata a più di un tecnico. La meritocrazia, lo evidenziano i fatti, è andata a farsi benedire.
Ecco quindi spiegato perché, al giorno d’ oggi, licenziare un allenatore diventa sempre più facile. Costa poco ed il naturale avvicendamento potrebbe addirittura portare vantaggi economici. Nulla da stupirsi, pertanto, se le panchine saltano con la stessa facilità con la quale, in questa stagione, cadono le castagne.
A proposito di meritocrazia. Sponsor e calcio. Un binomio indissolubile e di successo. Principalmente economico. Antonio Conte approda sulla panchina della nazionale “convinto” dalla corposa partecipazione economica, riguardante i suoi emolumenti, dell’azienda leader che sponsorizza gli azzurri del calcio. Super Mario che, guarda caso, indossa gli scarpini con lo stesso logo di quell’azienda, ritrova la strada di Coverciano nel momento più buio della sua carriera. Un controsenso? Assolutamente no! Non vedo cosa ci sia poi da meravigliarsi così tanto. Era tutto nella logica e nei patti. Bisognava soltanto attendere il raffreddarsi della patata.
Nel tentativo di offrire spiegazioni,in merito all’argomento di cui sopra, che dire dell’imbarazzante confusione manifestata, in conferenza stampa, da Antonio Conte? Fosse potuto tornare indietro di qualche tempo, si sarebbe morso la lingua.
Come si dice, rispettando il valore del silenzio ed il peso delle parole? Di un bel tacer non fu mai scritto.