I “vecchietti” che non comprendono. La necessità di cassa danneggia i giovani e la qualità. Le scelte oculate di Melfi e Renate
Raccomandati e crisi del lavoro, ma Coverciano sforna diplomati: esiste una logica?
La rivolta dei “vecchietti”. Sono in tanti e tutti lì, ancora, che si allenano, il più delle volte da soli, in attesa di una improbabile chiamata. Una generazione di calciatori che, pur con alle spalle una buona carriera, sono penalizzati dalla carta di identità. Uomini che non riescono ad arrendersi all’evidenza dei fatti. La Lega Pro ha ridotto gli organici. Nelle ultime stagioni sono saltate, tra i professionisti della terza serie, 42 (!!) Società. Una enormità obbiettivamente. A titolo orientativo più di 1.000, dico mille, posti di lavoro. Un numero anche maggiore volendo considerare direttori, allenatori e preparatori di varia natura professionale! Le regole son cambiate, ma quel che è peggio son finiti i soldi.
I magnati del calcio non esistono più nella massima serie, figuriamoci in Lega Pro. Per far quadrare il bilancio, a fine stagione, sono necessari quei soldi (chiedo scusa: sono obbligatori quei soldi) distribuiti alle Società dai proventi che Federcalcio e Lega mettono a loro disposizione. Mutualità, diritti televisivi e quant’ altro. Le nuove regole, sulla ripartizione di quel denaro, impongono l’utilizzo dei giovani. La norma sull’età media della squadra che va in campo penalizza, inevitabilmente, tutti i “vecchietti”.
Più si è virtuosi più si incassa. Melfi e Renate (solo per citare esempi eclatanti) ne hanno fatto, intelligentemente, una ragion di vita. Dirigenze, quelle, che vanno lodate ed applaudite. Scelte oculate, tanto nella gestione tecnica quanto in quella finanziaria. Diversamente, per entità civica e per il modesto giro d’ affari che possono realisticamente movimentare, mai sarebbero state in grado poter di competere, per di più con risultati invidiabili, in quella categoria.
Una norma coercitiva e penalizzante, si dirà. Giustamente aggiungo io, tanto che, nella media, il tasso tecnico della categoria si è abbassato e non di poco. Tra i tanti “ragazzini” di belle speranze mandati allo sbaraglio ce ne sono alcuni, ancora più che acerbi, la cui qualità lascia certamente a desiderare. Figurarsi poi quando scendono in campo anche gli “sponsorizzati” o quelli che viaggiano con lo “zainetto”. Gente che, purtroppo per loro, mai potrà vantarsi di aver esercitato la professione di calciatore.
In questo contesto stride, allora, l’atteggiamento di quei professionisti, pur con una buona carriera alle spalle, ma in età ormai avanzata, che sperano ancora nel verificarsi di situazioni irrealizzabili e che non intendono arrendersi all’evidenza dei fatti. Al punto che, taluni, preferirebbero girarsi i pollici e attendere quindi una chiamata, piuttosto che cercare uno spazio per affermarsi in altri settori del mondo del lavoro.
Riferito ai temi citati. Denaro, lavoro e qualità del prodotto tecnico, l’attuale Governo del calcio ha sul tavolo, da risolvere nell’ immediato e con grande responsabilità, alcune problematiche pregnanti che si proiettano significativamente sulla ristrutturazione, improcrastinabile, del calcio nazionale.
A Tavecchio, Macalli e Lotito che noto, con piacere, in passerella effigiati, sempre l’uno accanto all’ altro, sugli spalti dei diversi stadi dove si esibisce la nostra nazionale, vorrei porre una domanda, limitatamente ad uno dei temi di cui sopra, che riguarda, appunto, il lavoro.
Nonostante la tanto declamata riduzione degli organici a tutti i livelli ed in tutte le serie professionistiche e la conseguente, palese, riduzione dei posti di lavoro che, inevitabilmente, coinvolge tutte le categorie professionali, Coverciano, la nostra riconosciuta università del calcio, continua a sfornare diplomati, con regolarità impressionante. Tutti gli anni. Una pletora impressionante e per grandi linee inutile, a causa del limitato utilizzo che ne consegue. Di allenatori. Di istruttori. Di direttori sportivi e di segretari. Tutti promossi a pieni voti da quei corsi organizzati dal Settore Tecnico. Salvo poi che a lavorare vanno sempre i “raccomandati” (a volte anche se interdetti ad esercitare per squalifica o per mancanza di titolo). Tutto soltanto perchè la meritocrazia è andata, da tempo, a farsi benedire!
La domanda da rivolgere alla triade, quindi, è appunto: ma, tutto questo, ha un senso?