Multiproprietà e squadre B. Due miliardi di euro male investiti e i nostri giovani non hanno più spazio
Lotito arguto, ma corre per se stesso. Il buon senso per ridurre gli organici, vero Macalli?
Multiproprietà o squadre B. Nell’attuale sono due dei temi più dibattuti del calcio italiano. Notevole il contrasto tra il partito dei Lotito e quello dell’Associazione Italiana Calciatori. Ognuno vanta le proprie ragioni. Tutte, di certo, sono a scapito dell’azienda pedatoria nazionale. Quell’ azienda, una delle prime cinque in Italia, che, tra diritti televisivi ed entrate finanziarie diverse, produce ricavi per circa due miliardi (!!) di euro a stagione. Quell’azienda caduta a torto nelle mani dei presidenti di Serie A, malamente gestita dagli stessi, con il tacito assenso del Palazzo (Lotito docet) con fini di lucro personale.
La dilagante moda di moltissime operazioni (non tutte, fortunatamente) fatte a suon di milioni, estero su estero, con valutazioni macroscopiche per l’acquisizione di mediocri calciatori stranieri, porta all’ inevitabile fuga di denaro al di là dei confini di Stato. A tal proposito un accertamento, internazionale, della Guardia di Finanza, sulla correttezza di tali movimenti, non sarebbe mai disdicevole. Prime squadre e settori giovanili sono infarciti di calciatori provenienti da federazioni straniere. Non si trova più lo spazio per allevare, far crescere e far giocare i nostri giovani.
Lecito quindi interrogarsi sull’utilità, eventuale, delle squadre B. Un progetto per permettere ai Club maggiori di incrementare quelle operazioni o per mandare in campo forze nuove con ragazzi di nazionalità italiana? Un reale potenziamento dei vivai o l’ulteriore sbarco nel nostro territorio di tanti, nuovi, illustri sconosciuti, molti dei quali, messi alla prova, risultano inadeguati? Un movimento, in quella eventualità, che andrebbe solo ad infoltire la già folta schiera di mediocri arricchendo le tasche di personaggi che stanno già affossando, con problemi di natura tecnica ed economica, l’ ambiente calcistico nazionale. Senza trascurare che, per favorire quei pochi (quanti avrebbero interesse e/o sarebbero in grado di allestire una rosa B), aumenterebbero i dubbi sull’ utilità di disputare il campionato Primavera. Diverrebbe un torneo da cancellare o da ristrutturare, inevitabilmente, nella formula e nel regolamento?
I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Prendiamo schiaffi, con ricorrenza quotidiana, a tutti i livelli, in campo e fuori. Purtroppo anche a livello disciplinare (vero Tavecchio?). Un miglior investimento ed una più equa distribuzione, fatta con oculatezza sul territorio nazionale, di quei due miliardi di euro (non riesco neppure a fare il conto di quanti sarebbero, tradotti in lire) ricondurrebbe, certamente, il nostro calcio a livelli internazionali competitivi. Ne trarrebbe grande vantaggio anche la Nazionale, troppe volte bistrattata nel recente passato. Al proposito, auguriamoci che Paletta e Thiago Motta, con quella maglia, rimangano, solo e sempre, un ricordo.
Lotito, con la sua innata arguzia imprenditoriale ed anticipando i tempi, nel vuoto creatosi nella gestione (post mondiali) del sistema, si è impadronito della scena e cavalca l’idea delle multiproprietà anche nel calcio. Sinergie tra club di serie A e quelli di terza serie ce ne sono sempre state. Juve e Cremonese, Milan e Monza, sono solo gli esempi più eclatanti. In un periodo di casse asfittiche, in Lega Pro va sempre più di moda accettare la “valorizzazione” di un club di categoria superiore per l’utilizzo di qualche giovane. Aiuta economicamente, se non per altro e denaro non “olet”, come si usa dire. Per non parlare della miriade di operazioni effettuate nella scorsa stagione dai dirigenti del Parma che hanno spalmato valorizzazioni a destra ed a manca in quantità industriale.
Lotito sta andando oltre. Proprietario del 98% della Lazio, del 70% della Salernitana. E, come radio fante bisbiglia a voce neanche tanto bassa, anche del 30% del Bari. Lotito, dicevamo, ha individuato, nel breve, il percorso più remunerativo nel gestire il calcio e fare azienda. Del resto, senza voler giudicare le sue metodologie di realizzo, l’ imprenditore che riesce a trarre utili da questo tipo attività deve essere sempre e soltanto elogiato.
Lotito però, nella realtà, cavalca un’idea pro domo sua. Effettuata su scelte mirate di piazze (Roma, Bari, Salerno) che nelle rispettive categorie vanno per la maggiore. Per tradizione ed interessi economici e di pubblico. Una idea legata a movimenti di mercato medio, di seconda/terza fascia, che gli permettono un controllo capillare della situazione (lui che ama sempre gestire tutto in prima persona), ma che nessuna acqua porterebbe per migliorare il sistema calcio nazionale. Per di più, all’ orizzonte, almeno nell’ immediato, non si intravvedono altri presidenti intenzionati a seguire le orme del vulcanico Claudio in una crociata destinata inevitabilmente a fallire. Anche perché le piazze, eventualmente disponibili, sono di caratura inferiore e di nessuna produttività economica.
Nel mezzo delle tante ipotesi di programma, vi è una sola tesi, di crescita, sulla quale tutti concordiamo: la necessità primaria ed indispensabile, con massima collaborazione dei vertici federali e delle Leghe, di ridurre gli organici. In tutte le categorie.
Tavecchio, al di là delle sciocche scivolate sulle bucce di banana, ha il grande merito di aver messo attorno ad un tavolo persone che non si parlavano da anni. Il confronto è stato positivo. Ora, per raggiungere l’obiettivo, occorre il buon senso di tutti.
Vero Macalli…?