Da portantino ad allenatore, Sandro Pochesci si racconta: “L’Unicusano Fondi la mia favola, mia moglie scomparsa la mia forza…”
Sono le 22.25 circa allo Zaccheria e Sarno ha la chance di fare doppietta su punizione: il 10 rossonero spedisce il pallone in curva, l’arbitro fischia la fine, quelli in maglia bianca stendono il Foggia a domicilio e la panchina rossoblu esplode di gioia. E’ festa grande, il più contento di tutti si chiama Sandro Pochesci che di mestiere fa l’allenatore in questo mondo magico chiamato Unicusano Fondi. Qualche giocatore del Foggia non gradisce, ma la situazione torna subito alla normalità: “Non volevo mancare di rispetto a nessuno. Ao, io so de Roma, sono un tipo vero. Abbiamo vinto in uno stadio fuori dal comune con dei tifosi magnifici, che ci hanno applaudito fino alla fine – racconta in esclusiva a Gianlucadimarzio.com – e per questo faccio i miei complimenti al Foggia. Ma che ce stanno a fare in Lega Pro? Fanno 8000 presenze quando sono in contestazione, io sono giá super soddisfatto se ne faccio 800″. Un vero e proprio gladiatore come testimonia la sua immagine del profilo di Facebook in stile Russell Crowe: “Noi romani abbiamo carattere e temperamento da vendere, magari a volte possiamo essere antipatici ma sicuramente veri”.
Già, veri come la favola del Fondi. Una storia singolare e completamente diverse dalle altre, come sottolinea lo stesso Pochesci: “L’Unicusano ha deciso di investire nel calcio, prelevando un club penultimo in Serie D per unire lo sport alla ricerca. Con questo connubio tra università e calcio riusciamo ad aiutare persone che soffrono davvero, che giocano partite ben più importanti. Sono orgoglioso di lavorare in un team del genere”. E la favola del Fondi va a gonfie vele, non solo fuori ma anche dentro al campo. I rossoblu, infatti, non hanno perso con nessuna delle prime quattro e navigano in piena zona playoff: “Non ci poniamo limiti. Tutti devono far tutto, ma quello che chiedo ai miei ragazzi è la prestazione, molto più importante del risultato. Sono venuto a Foggia a giocarmela con tre punte. Perdere 5-0 o 1-0 non mi avrebbe cambiato molto, ma ciò che conta è come abbiamo giocato. Lieldolhm chiedeva sempre ad un campione del mondo come Bruno Conti di fare su e giù, perché io non dovrei pretendere il massimo sforzo dai miei ragazzi? Devono sgobbare in campo e fuori, con una mentalità sempre vincente. Ho giocato una vita nei campi di Pozzolana, tra l’eccellenza e la Serie D e pretendo che tutti i calciatori mi seguano. Non importa quali categorie abbiano fatto, ma l’importante è che diano tutto. A volte qualche calciatore perde tempo in “cazzate”, ma non sono quelle le cose importanti della vita”. Una delle cose importanti della vita è senz’altro il lavoro. Cosa che Pochesci, tra un allenamento e un altro ha sempre fatto: “Facevo il portantino nel reparto Dialisi di Ostia, ma era un lavoro part-time. Poi arrivò la chiamata della Viterbese e dopo il lavoro allenavo la squadra. Non ho mai saltato una giornata di lavoro. Riuscivo a fare entrambe le cose”.
Dal presente in rossoblu al amore in rossonero: “Ieri ho realizzato un sogno da milanista. Ho stretto la mano a Stroppa che per me è stato un idolo da giocatore. L’ho anche battuto, non ce potevo credere”. E poi l’emozione più grande ieri in conferenza stampa, quando Pochesci si è commosso: “Mia moglie è morta il 3 dicembre di 26 anni fa, volevo dedicarle qualcosa d’importante e ci sono riuscito. Mi è morta in braccio, quando mio figlio aveva solo 15 mesi. Ogni mio respiro è per lei e per i genitori per cui era la loro unica figlia. La mia impresa più grande è anche la sua”. Nell’inferno dello Zaccheria, il Fondi di Pochesci cala il tris. E la dedica è tutta per il suo angelo. Tra le lacrime di chi non c’e piú e la gioia di aver scritto una piccola grande pagina di storia rossoblu.
Andrea Candelmo