In un cuore rossonero non c’è posto per un altro amore

Il 14 Febbraio è stato San Valentino, festa degli innamorati, ricorrenza risalente all’Inghilterra del XV secolo, ma mutuata nell’accezione moderna dalla cultura nord americana dell’ottocento che la ricorda per le “valentine”, lettere o cartoline d’amore spedite in quantità pressoché industriali alla persona amata, oltre che per un fatto di costume legato alla strage della banda di George “Bugs” Moran al 2122 di North Clark Street – Chicago (IL) da parte degli uomini di Al Capone nel 1929 (luogo oggi divenuto addirittura attrazione turistica per chiunque visiti la città sulle rive gelate del lago Michigan). Nell’occasione i social hanno visto moltissimi tifosi del Foggia dedicare un pensiero o una “valentine”alla propria squadra del cuore, anche solo un disegno, una battuta, una vignetta (ed io non ho fatto eccezione). Ricorrente allora si è ripetuta la domanda delle domande, spesso oggetto di accese discussioni tra tifosi ortodossi (starei per dire talebani) ed altri meno intergralisti: si puó tifare per il Foggia ed allo stesso tempo per la Juve, per il Milan o per altre squadre metropolitane o nazionalpopolari?
Per rispondere faccio un viaggio nel tempo di almeno quarant’anni, quando lo Zaccheria era in tavoloni e tubi innocenti e mentre seguivi col cuore in gola una discesa di Valente per Silvano Villa ecco qualcuno che ti strattonava la spalla chiedendoti irriguardoso:
<Giovane, che fa Intèr?> (con l’accento sulla “e”), proprio mentre Villa calciava magari alto sulla traversa a porta vuota e di quello che facevano i nerazzurri te ne importava in quel momento quanto di un monologo esistenzialista di Carmelo Bene al Piccolo di Milano.
Tutti all’epoca portavamo una radiolina allo stadio per ascoltare il mitico “Tutto Il Calcio Minuto Per Minuto”, trasmissione radiofonica cult concepita da Zavoli e Bartoluzzi, unico modo per poter seguire la tua squadra del cuore dalla A alla C in un mondo dove Pay Tv e Diretta Streaming non erano concepiti nemmeno negli sceneggiati di fantascienza. A rendere popolarissima quella trasmissione radiofonica due radiocronisti eccezionali per carattere, preparazione e timbro vocale. Erano Enrico Ameri e Sandro Ciotti, che si palleggiavano la cronaca dalle partite principali intervallati sporadicamente dai colleghi dagli stadi minori minori. Niente a paragone coi Caressa e i Marianella d’oggi, abili solo a infondere emozioni di partite teleriprese da qualsiasi angolazione e velocità, Ameri e Ciotti, con il solo racconto e la loro straordinaria abilità, descrivevano in tempo reale e con poche parole dettagli di gioco, falli e gol che ti pareva di vederli per davvero. Due giganti inarrivabili del giornalismo sportivo, autori spesso di gag irresistibili. Una sicuramente la più famosa.
<Scusa Ameri, sono Ciotti.> era la frase più frequante durante tutta la diretta, interrompeva la cronaca del collega allorquando il radiocronista milanese soleva ragguagliare i radio spettatori di un cambio di risultato nel suo campo. Ebbene capitò che in un’occasione concitata, dovendo chiedere la parola al collega, Ameri urlò <Scusa Ciotti, sono Ciotti.> tra l’ilarità di milioni di radioascoltatori esterefatti. L’altro non si scompose nemmeno un pò, e candidamente (e vagamente divertito) ribattè: <Veramente… Ciotti sono io!> Altri tempi.
Così la radiolina alla partita la portavamo tutti, ma solo per sentire di risultati che interessassero il cammino della squadra in campionato che, tra gli anni ’60 e gli anni ’90, ha sempre lottato tra A e B (qualche volta in C) sempre per obiettivi da “dentro o fuori”. La richiesta allora del risultato di un’altra formazione, lontana anni luce per forza e tradizione dalla nostra, a noi giovani tifosi (ma non solo) ci sembrava frutto di un vecchio provincialismo, una sottomissione sportiva, un ammettere che loro erano i padroni del calcio occupandone il proscenio e lasciando a noi poco spazio tra i pannelli delle quinte. Utili allo spettacolo sì, ma nemmeno degni di essere considerati comparse (quelle erano la Fiorentina, il Bologna, il Torino, la Lazio e così via). Noi giovani, con l’orgoglio e gli ideali dell’età, non ci stavamo a fare la parte del Davide contro Golia (come qualcuno ha scritto parlando della nostra recente vittoria a Palermo), non ci sentivamo secondi a nessuno. Qualche anno prima avevamo battuto l’Inter di Herrera ed avevamo conquistato un paio di meritate salvezze in serie A e una finale di Coppa Italia. Anch’io tifavo Inter a sei anni, ma dopo aver visto la mia prima partita del Foggia allo Zaccheria, una sconfitta pesante contro il Napoli di Clerici, strappai tutte le figurine di Mazzola, Corso, Burnich e Boninsegna e, come tanti a quell’età, mi tinsi per sempre il cuore e l’anima di rossonero. Allora alla domanda <Che ha fatto l’Intèr?> si rispondeva con fischi, urla e spintoni. <Vai a Milano a vederti Mazzola, se tanto ti piace, qui a Foggia giocano Colla e Pirazzini!>
Certo che i vent’anni a navigare nei bassifondi del calcio nazionale hanno spinto tanti (troppi) a dedicarsi all’hobby preferito degli italiani guardandoselo dalla porta principale, perché un Foggia in serie D o in serie C2 non gli emozionava più o non gli emozionava abbastanza. Ed ecco il proliferarsi di questi tifosi “ermafroditi” che hanno cominciato come e più di allora a trepidare per una qualsiasi squadra di nome, purchè tutta nastrini e pailettes e con le bacheche piene di megaglir e trofei. Il Foggia? Un ricordo, un sentimento, un’affetto a cui dedicare qualche frettolosa visione del televideo, le due righe sulla Gazzetta al giorno dopo, e così quel 9 settembre del 2012, sconfitti dal Francavilla, ci siamo contati sulle dita di una mano, mentre tutti erano seduti sul grande terrazzo panoramico di Sky a godersi il grande calcio dei soliti padroni.
Ma questo è il vero amore? Vedete amici, adesso che il Foggia “it’s came back” e che gente come Pelusi, Lo Campo, Verile, Sannella, De Zerbi e finanche Stroppa hanno riportato spettatori ed entusiasmo allo Zaccheria, la passione è tornata forte e diffusa tra tanti, tra tutti, a Foggia ma soprattutto in provincia e tra il popolo rossonero che soffre ed incita fuori dalle mura amiche. Questa è gente che vive per il Foggia, che non ha altra fede, altra passione, altri aneliti. E allora, amici che pur tifando per il Foggia orgogliosamente professate innominabili (per me, ma per tanti altri) fedi calcistiche nordiste o sudiste nazionalpopolari, sappiate che in un cuore rossonero non c’è posto per un altro amore. Sia ben chiaro però che non vi condanno, ci mancherebbe, piuttosto vi comprendo, vi rispetto, è una scelta che appartiene al vostro libero ed insindacabile arbitrio. Permettetemi tuttavia di dedicare a tutti voi un piccolo estratto liberamente tratto dal Vangelo secondo Matteo (6,19-24) che mi perdoneranno i credenti di aver parafrasato per così tanto futili ragioni, ma che spiega mirabilmente la mia (e non solo) posizione a riguardo:
“Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, o avrà riguardo per l’uno e disprezzo per l’altro. No, non si possono servire due padroni, o si stà con Dio o si stà con Mammona!”
Francesco Bacchieri – www.ilfoggia.com