A Foggia la sera sta già diventando notte, quando dallo Zaccheria comincia a salire piano un fumo lieve, poi più intenso, fino a superare il tetto delle case e confondersi col cielo. Non è un incendio, non brucia lo stadio, anzi vive, o meglio torna a vivere dopo mesi di silenzio e cancelli chiusi, di spettrale abbandono. Ai piedi delle tribune c’è di nuovo la Foggia Ultras, unita sotto la bandiera di BASTA ABUSI, il movimento nazionale che rivendica il diritto ad essere ultras, ad esprimere liberamente una passione viscerale che ha fatto del calcio, in Italia e nel mondo, non solo uno sport, ma un fenomeno sociale e culturale.
Al bagliore dei fumogeni s’illumina uno slogan stampato su un lungo striscione bianco che recita: “NON CONTA QUANTI, CONTA COME”. Il fumo che sale, allora, che marca l’orizzonte e segna lo skyline della città è un segnale, è un simbolo di lotta e di riscossa, qualcosa che chiama tutti a raccolta, che incita tutti a ritrovare l’orgoglio per combattere una nuova battaglia, una battaglia di diritti, diritti per gli ultras sì, ma anche diritti per tutti quelli che amano il calcio, quello vero, quello che appartiene alla gente e non ai network televisivi, alla macchina dei soldi. Ma il fumo non sale solo dallo Zaccheria, è questa l’eccezionalità dell’evento. In tanti stadi il rito si ripete, all’unisono, come se ad accendersi fosse un’unica curva, questa volta sotto un’unica bandiera, quella della fratellanza e della solidarietà fra gente con lo stesso orgoglio, la solita fierezza, e che di diverso ha solo il colore della squadra per cui si batte.
In un mondo sempre più rassegnato agli eventi, in una società che sempre più supina si vede calpestare diritti senza avere più la forza di reagire, gli ultras rappresentano ancora un’eccezione alla regola, l’ultima frontiera di chi sente il bisogno di sentirsi libero, libero dai condizionamenti, libero dal falso perbenismo, dal pensiero dominante e dal conformismo dilagante. Libero “addirittura” di protestare non autorizzato, in un tempo dove persino gli scioperi oramai sono concordati per non disturbare il manovratore. Sono di fatto una riserva indiana e come i nativi americani salgono sugli altipiani ad accendere fuochi per parlarsi fra di loro, per sentirsi uniti, loro che negli stadi si dividono e che fanno della contrapposizione fra tifoserie, fra colori e bandiere diverse, il loro modo di vivere il calcio, il loro senso di appartenenza ad un territorio, alla loro bandiera.
Cosa chiedono allora questi ragazzi di BASTA ABUSI improvvisando una protesta ai piedi del loro stadio? Unici ad avere la forza e il coraggio per dire no a decisioni contraddittorie che il Palazzo impone in barba a quello che sta accadendo intorno, che ha sconvolto e sconvolge ancora le nostre vite non solo in Italia, ma nell’intero pianeta e mette a rischio la nostra salute dove non proprio il nostro stesso futuro? Oltre a chiedere che il calcio torni ad essere quello che era, quello che non è adesso, forzatamente ripreso in stadi vuoti o semideserti, senza emozioni, senza pathos, senza brividi, chiedono di essere riconosciuti in quanto parte del tutto, in quanto movimento sociale e culturale, essenza viva senza la quale il calcio sta rischiando di morire nello strazio di partite viste solo alla tv, fra effetti sonori registrati e l’eco delle urla di tecnici e calciatori che rimbombano sinistre su gradinate tristemente deserte: partite da PlayStation in un’atmosfera che da virtuale diventa reale, ma che finta rimane.
NON CONTA QUANTI, CONTA COME, ecco allora svelato il perché di quello striscione. Il calcio è niente senza ultras, e non si può essere ultras ai tempi delle restrizioni della pandemia. E se il calcio vuole ripartire, il “quanti” per loro vuol dire “tutti”, ma non solo. Vuol dire anche garantire a tutti di essere ultras come la loro indole e la loro tradizione vuole, con striscioni, tamburi e vessilli garantiti in una zona franca e protetta, ed ecco spiegato allora anche il “come”.
Mai si era visto prima un movimento del genere, mai era immaginabile che tifoserie nemiche si ritrovassero insieme per rivendicare i propri diritti, aldilà di ogni rivalità. E allora non conta se sei per il Napoli, il Bari, il Foggia, la Juve o il Palermo, conta avere le stesse idee, la stessa forza e la stessa passione. E allora ecco che le montagne, alla fine, si sono incontrate e questa volta non hanno trovato sorde le istituzioni che, forse per la prima volta, hanno capito che solo ascoltando questo mondo e dialogando con questi ragazzi si puó davvero intraprendere la strada giusta per fare degli stadi luoghi di contrapposizione sportiva, sociale e culturale, certo, ma mai più di violenza.
Francesco Bacchieri