Baggio e Padalino dalle giovanili alla Serie A. Da 20 anni non ci sono più talenti rossoneri

Baggio e Padalino dalle giovanili alla Serie A. Da 20 anni non ci sono più talenti rossoneri

È una di quelle banali sere d’inizio estate, lo zapping televisivo mi spinge verso il nulla cosmico che popola i canali nazionali. Nulla attrae il mio interesse, nulla costringe la mia curiosità a soffermarsi.

Meno male che c’è Netflix. Una biblioteca, quasi infinita, che sa sempre soddisfare i miei desideri.

La home page dell’ormai più nota piattaforma streaming mi suggerisce “Il Divin Codino”, un film che racconta la storia di uno dei più grandi 10 del calcio italiano: Roberto Baggio.

92 minuti di Roby Baggio. 92 minuti di mondiali, scudetti, allenatori, avversari e Pallone d’Oro.

Probabilmente l’intervista realizzata dal giornalista Giorgio Terruzzi per Netflix, dove racconta l’uomo dietro il campione, è ancor più interessante della storia romanzata e trasformata in una produzione cinematografica.

La storia di Roberto Baggio nasce al Lanerossi Vicenza, una squadra che nel tempo ha dato in pasto al calcio italiano diversi campioni.

Al termine del film diretto da Letizia Lamartire oltre ad aver assistito ad una storia incredibile di un campione che non ha mai smesso di inseguire i suoi obiettivi scritti su un taccuino, è inevitabile pensare al lavoro fatto a quei tempi nei vari settori giovanili. Un lavoro che continua a premiare realtà medio-piccole come l’Atalanta, il Sassuolo, il Cagliari, il Cittadella ed altre sparse per la penisola.

Nel 1994, poco prima del mondiale, il Foggia ipotecava il 9° posto in Serie A, abbandonando la Coppa Italia solo ai quarti. Sulla panchina dei rossoneri c’era Zeman. Fu con il finire degli anni ’90 che un gong segnò la fine della produzione di campioncini fatti in casa. In quella rosa, Giuseppe Di Bari rappresentava la foggianità in Serie A, foggianità che l’anno successivo fu pienamente rappresentata da Pasquale Padalino, ceduto alla Fiorentina per un bel po’ di soldini. Solo Michele Pazienza dopo Padalino ha portato un pizzico di Foggia nel massimo campionato di calcio italiano. Poi, solo buio.

Negli ultimi giorni l’attenzione della piazza è rivolta al futuro, a chi andrà a vestire la maglia della prima squadra, a chi allenerà la rosa e a chi dovrà occupare il ruolo di direttore sportivo. Il tempo scorre all’interno di una clessidra dove granelli rossi e neri si alternano nello scivolar giù, mentre c’è chi è sicuro di un futuro roseo e chi invece perde la propria sicurezza tra dubbi e misteri che aleggiano sul prato verde dello Zaccheria.

Le domande sul progetto tecnico sono interrogativi giustissimi che prima o poi partoriranno delle risposte. Invece, quando avremo modo di vedere un progetto tecnico ed imprenditoriale rivolto ai giovani ben chiaro davanti ai nostri occhi? Quando i ragazzi della nostra terra ritorneranno a raccontare che il corridoio di casa poi è diventato lo Zaccheria? Proprio come ha svelato Baggio.

Forse, per le diverse proprietà che nel tempo hanno avuto modo di passarsi il testimone del fallimento, come in una staffetta senza podio, è stato troppo difficile elaborare l’idea che sfornare un baby campione ogni due anni significava andare a recuperare parte dei costi investiti per la gestione del settore giovanile. Mentre l’attenzione è rivolta a Corda e Marchionni (come è anche giusto che sia), mister Gaetano Pavone l’anno prossimo probabilmente farà ancora miracoli con i ragazzi che, un po’ per gloria, un po’ per pura passione, vestiranno la maglia rossonera. Nel mentre si attendono i primi colpi del nuovo Responsabile del Settore Giovanile, Beppe Giglio.

Ho un sogno, vedere un giovane esordire nella massima serie (come Raspadori per il Sassuolo) e dire: “Quel ragazzo lì l’abbiamo lanciato noi. È partito da qui, da Foggia”. De Zerbi, Stroppa, Marino, insomma gli allenatori quando vanno via non portano soldi nelle casse dei club. Al contrario, un ragazzo che passa all’Atalanta, al Sassuolo, alla Roma o alla Juventus, per una società come il Foggia rappresenta una plusvalenza utile per la sopravvivenza. È oro colato.

Ripartiamo da una programmazione a tutto tondo. Completa, che va al di là della prima squadra. Solo così capiremo la grandezza e la verità di un progetto che mira ad essere vincente, come dicono i protagonisti. Altrimenti vivremo favole, anzi incubi, già visti…

Daniel Miulli