Sono un po’ di giorni che il sole fatica a sorgere, nascosto tra le nuvole ed un cielo piagnucolone. È da venerdì che facciamo fatica a riprendere fiato, come dopo una lunga corsa. Vogliono toglierci il Foggia. Questo dicono in giro.
Al solo pensiero, il respiro diventa affannoso. Monta una paura bestiale. Vogliono toglierci l’ultima cosa ancora in nostro possesso: il sorriso. Quello del sabato pomeriggio, dello Zaccheria, delle trasferte. Hanno deciso di farci del male, di colpirci a morte. Passeggiavo per Foggia, sabato sera. Poco prima aveva diluviato, e forse per questo molta gente aveva deciso di non uscire. Ma più mi guardavo intorno, più guardavo i ciottoli per strada e le finestre dei palazzi, più mi chiedevo: “ma che abbiamo fatto di male per meritarci tutto questo?”. Che male abbiamo fatto per vivere perennemente con la paura di qualcosa o qualcuno? Perché non possiamo gioire mai abbastanza? Perché alla prima occasione utile, vogliono vederci in lacrime? Ora, signori miei, il Foggia per molti rappresenta “solo una squadra di calcio”. E per molti, da venerdì, non è cambiato nulla. Ma non è così. Assolutamente no.
Vogliono farci vergognare di essere foggiani, vogliono vederci “morti” in una città muta, impaurita. Molti di noi, in questo momento, sono fuori per lavoro o hanno costruito una famiglia altrove. Magari tornano a Foggia solo per le vacanze, o magari neanche per quelle. Ma l’amore resiste, nonostante chilometri di autostrade pronte a dividerci dalla nostra terra. Siamo gli eterni orfani, siamo la gente che “è meglio non incontrare”, dicono. Siamo la mafia in persona, il male, il peggio, il terrore. Questo dicono di noi, fratelli miei. E noi ne siamo consapevoli, lo sappiamo che spesso e volentieri non facciamo nulla per far si che la gente smetta di parlare così di noi. Ma pensate a tutti quelli che sono dovuti andar via, a quelli che per un pezzo di pane hanno dovuto salutare tutto e tutti, con la benedizione di una mamma o di una nonna.
A quella gente, a noi, vogliono tagliare il cordone ombelicale. E noi non siamo pronti, mai lo saremo. Il Foggia è un bacio rassicurante, una carezza, un porto sicuro. Il luogo dove rifugiarsi quando monta la nostalgia, l’argomento di cui parlare al tavolino di un bar, l’unico e solo modo per “rivalersi” su chi è più forte di noi. Una vittoria del Foggia è una rivincita sociale, rappresenta la forma più alta di orgoglio popolare. Noi non abbiamo nulla, ci hanno tolto tutto. Ci è rimasta solo la paura, il magone, la tristezza. E il Foggia. Sono tre giorni che sui social, su Whatsapp, su qualsiasi mezzo di comunicazione di nostra conoscenza, aleggia la paura. Quella di non farcela. Chiaro, non sono di certo questi i problemi seri della vita, ma neanche l’ultima cazzata come vogliono farci credere. Il Foggia è il nostro orgoglio, unico e solo.
L’unica occasione che abbiamo per sorridere ancora un po’. Io non so dove saremo tra qualche giorno, se all’inferno o meno. Ma una cosa è certa: ci state rubando l’anima. E finché il cuore avrà voglia di battere, faremo di tutto per difenderla. Chiamateci mafiosi, signori benpensanti. Se il nostro amore, la nostra passione, il nostro attaccamento viscerale al Foggia vi fa credere questo, va bene. Ne prendiamo atto. Ma ricordate sempre una cosa: peggio di chi sceglie cento giorni da pecora a un giorno da leoni, c’è solo chi sceglie una vita da vile avvoltoio.
Antonio Solimine – www.sydailcaso.wordpress.com