La legge ci vuole morti

La legge ci vuole morti
Ai tempi delle prime rivendicazioni sociali, nell’America conservatrice e bigotta di “Ike” Eisenhower, salì agli onori della cronaca il nome di Caryl Chessman, un pregiudicato accusato di furti, rapimenti e sevizie di ogni genere, crimini talmente efferati da essere condannato a morte dallo stato della California nel 1948. Chessman si dichiaró sempre innocente, riuscendo per ben 10 volte a rimandare la sua esecuzione in uno degli stillicidi legali più celebri e raccapriccianti della storia. Vicenda che scaturì in un best seller scritto dallo stesso Chessman, “La legge mi vuole morto”, che aprì negli States, alla vigilia dell’era dei Kennedy, una forte sensibilizzazione contro la pena di morte sottoscritta dalla stessa Eleanor Roosevelt, una delle più celebri “innocentiste”.
Nessuno seppe mai se l’autore di uno dei libri più venduti al mondo fosse veramente innocente, ma certo non fu facile la sua vita carceraria, sempre in attesa di un esecuzione puntualmente rinviata fino al fatidico 2 maggio del 1960, quando una camera a gas portó via la vita di uno che, anche fosse stato davvero un criminale, era ormai diventato un pacifico ed innocuo scrittore di successo. Persino un’ora prima dell’ora fatale era arrivato l’ennesima sospensione, a cui non fu potuto dare seguito, perchè ormai Chessman era chiuso nella camera a gas ed aprirla avrebbe compromesso la salute di chi operava nel carcere di San Quintino, dove morì alle 10:30 di quello stesso giorno. Perchè ricordare quella triste vicenda di 60 anni fa proprio adesso, proprio a proposito del Foggia? Perchè spesso in casi come quello di Carly Chessman la fine è molto meglio del supplizio che la precede. Un supplizio fatto di un’alternanza caotica di sentimenti e stati d’animo contrapposti.
Paura, attesa, angoscia, speranza, fiducia, allegria e poi di nuovo attesa e paura. Il Foggia, ma soprattutto i foggiani, in quella che ricorderanno probabilmente come la più paradossale retrocessione della loro storia, hanno vissuto questi sentimenti contrapposti dall’11 di maggio, quando a Verona, in 15 minuti fatali, sono passati da una salvezza diretta alla retrocessione senza appello al 94’ minuto di quella maledetta partita. Già lì le speranze si sono subito attaccate ai ricorsi ed ai controricorsi al CONI, puntualmente persi, per passare alla gioia, durata un paio d’ore, di sentirsi rimessi in gioco dalla retrocessione all’ultimo posto del Palermo decretata dal TFN in primo grado, ma vanificata da una scellerata ed illegale decisione del Consiglio Direttivo di Lega, che retrocedeva direttamente in serie C il Foggia negandogli la possibilità di giocarsi ancora un’ultima chance nei Play Out. Da allora attesa, speranza, gioia e delusioni si sono inseguite quasi giornalmente, passando da una sospensiva del TAR ad un parere del CONI, da una sentenza della CFA ad una nuova delibera di Lega, fino alla decisione tombale del nuovo ricorso rigettato al Venezia, dapprima salvo e poi condannato a disputare i Play Out senza averli potuti nemmeno preparare.
Il nostro cuore ha sofferto abbastanza, mi viene da pensare, e l’ironica “pluriretrocessione” del Foggia in terza serie (altrettante volte invece salvato) non ha fatto che rendere più amara e tormentata la breve avventura dei rossoneri nel campionato cadetto dopo solo due anni di fugace apparizione. Qualcuno s’illude ancora di una salvezza in extremis appesa ad una decisione sospesa al TAR del Lazio fino all’11 giugno. Qualcuno si illude di una riammissione in una serie B allargata a 22 se non 24 squadre. A tutti questi dico che – pur essendo stato sempre coriaceo, combattivo ed ottimista – è ormai evidente che la legge ci vuole morti, come scriveva disperato il povero Carly Chessman. E allora ci lascino morire in pace. Ci lascino al nostro dolore e ci facciano elaborare il lutto tranquilli. Ci lascino pensare e organizzare il nostro futuro. La giustizia farà il suo corso. Forse saremo più fortunati di Carly e, contrariamente a lui, all’ultim’ora quel salvacondotto per la B magari arriverà, ma non vogliamo e non dobbiamo pensarci. Il popolo che sulle tribune ha sempre stravinto, quel popolo che ha come unica colpa quella di amare visceralmente la sua squadra del cuore, ha patito abbastanza ed ha bisogno adesso solo di ricominciare.
Molti ci abbandoneranno. In tanti ascolteranno distrattamente il risultato del Foggia ad una radio, conquistato magari in uno sperduto campetto siciliano. Ma presto i satanelli chiameranno. Arriveranno ancora le prime vittorie, le prime gioie, e chi oggi non ha più voglia di credere ancora al Foggia e al suo futuro, tornerà a riempire i gradoni dello Zaccheria, perchè quando il Foggia chiamerà, i cuori che lo amano, risponderanno ancora. Risponderanno come sempre: presente!
www.miticomagazine.com – Francesco Bacchieri