Quando nasci in un quartiere come Secondigliano, a Napoli, raramente sei stato graziato dalla sorte: le possibilità di sfondare, nella vita, sono ridotte al lumicino.
Tanti ragazzi, nel tempo, si sono persi in strade poco raccomandabili, ma oggi vogliamo parlare di chi ce l’ha fatta tramite lo sport del popolo, quello giocato dai veri e propri ghetti ai quartieri più in, dai piccoli campi in terra battuta all’Old Trafford, al Meazza, al Camp Nou: il calcio.
Armando Izzo e Rolando Mandragora hanno avuto una sorte comune: entrambi cresciuti a Scampia, hanno esordito in A con il Genoa.
Il primo lo ha fatto tramite la gavetta: in un intervista a Sky, narra addirittura che, perso il padre da piccolo, date le condizioni economiche della famiglia, che non possedeva nemmeno un’auto, e le difficoltà nel raggiungere i campi del Napoli, squadra in cui giocava, pensò di smettere per trovare un lavoro, trovando sostegno nel suo procuratore. Nella sua città, però, zero presenze: prestito a Trieste, in Lega Pro, poi in comproprietà ad Avellino. È qui che Armando esplode, e i lupi lo riscattano alle buste per appena 200 mila euro. E adesso che il suo cartellino vale almeno 10 volte tanto, De Laurentiis si starà mangiando le mani…
Il secondo, invece, non passa dalla società partenopea (dalla quale venne addirittura scartato per ben due volte in sede di provini), ma firma per il Genoa a 14 anni: Giovanissimi, Allievi, pochi mesi di primavera e poi subito in Prima Squadra. Nell’ottobre del 2014, a 17 anni da poco compiuti, Gasperini gli affida le chiavi del centrocampo contro la Juve di Vidal, Marchisio e Pogba: prova superata a pieni voti, con i rossoblù che addirittura vinceranno 1-0. È proprio in questa occasione che lo staff dei bianconeri prende nota del suo nome, acquistandolo a titolo definitivo poco più di un anno dopo per ben 6 milioni di euro.
Alle loro spalle, c’è anche chi si è ritrovato a toccare il cielo con un dito in età poco più che infantile, per poi sprofondare in basso per ben due volte.
Audax fortuna iuvat, dicevano gli antichi romani. La fortuna aiuta gli audaci, ed Enzino, vezzeggiativo del nome del ragazzo, non ha mai smesso di credere nei suoi sogni: oggi, a quasi 28 anni, Vincenzo Sarno veste in Lega Pro la numero 10 che fu di Nuccio Barone, nonché del suo attuale mister, Roberto De Zerbi.
Quella del Foggia
Guai a sottovalutare Barone, uno dei simboli della scalata del Foggia di Zeman: se la dieci andava sulle sue spalle e non su quelle di Baiano, Signori o dei russi Shalimov e Kolyvanov, ci sarà un perché. Cresciuto a Palermo (maglia che, peraltro, indosserà anche in epoca successiva), era il classico regista avanzato del 4-3-3 zemaniano. Piedi buoni, ottimi, ma abbinati alla classica corsa che impone il calcio totale del tecnico boemo. Insomma, lo stesso ruolo rivestito da Verratti nella sua esperienza pescarese, e chi ci ha giocato insieme giura che sia stato solamente meno fortunato del talento abruzzese…
Sarno, invece, per caratteristiche si avvicina molto al ruolo rivestito sul campo da De Zerbi: fantasista, attaccante esterno, o comunque qualsiasi ruolo offensivo in cui il talento possa essere sprigionato con un certo grado di libertà. Può anche essere un caso, ma solo con la maglia dei Satanelli e con la guida dell’ex calciatore scuola Milan, Vincenzo è riuscito ad esprimersi con quella continuità che molti si aspettavano da un enfant prodige.
Siamo nel 1999, ed un osservatore del Torino rimane folgorato da un ragazzo di undici anni che gioca nella scuola calcio Gaetano Scirea di Secondigliano. La società granata imbastisce una clamorosa trattativa, acquisendo il cartellino del giocatore per ben 120 milioni di lire, cifra mostruosa per un giocatore di quell’età.
Enzino finisce così sulle copertine di tutti i quotidiani. Viene soprannominato il Piccolo Maradona, a causa della grandissima abilità tecnica e della statura minuta, viene ospitato in TV (celebre è lo sketch in cui, negli studi di Porta a Porta, palleggia con Mancini e Batistuta), attira ogni attenzione mediatica possibile, addirittura viene presentato in pompa magna, con tanto di giro di campo, nell’intervallo di Torino – Cremonese.
Sembra stia nascendo una nuova stella, ma al piccolo Vincenzo la nuova realtà pesa eccome, tanto che nelle interviste attuali confessa di non parlare con piacere di quei momenti. Piange al telefono con i genitori, è scontento, e dopo meno di due mesi fa ritorno alla sua Secondigliano. Torna a giocare con i compagni di scuola, ma soprattutto a segnare e a stupire.
E se hai talento, il destino ti riserva sempre una seconda possibilità.
Nell’estate 2002, la Roma lo opziona per la rosa dei Giovanissimi Nazionali. Un più maturo Sarno resta nella rosa giallorossa per tre anni. Alle porte della Primavera, però, arriva la clamorosa bocciatura. Enzino non è pronto per varcare le porte della massima categoria giovanile, viene rimandato a casa. Il sogno sembra infrangersi, e questa volta il tragitto per Napoli è obbligato, non volontario. E rischia di assumere tratti tragici: ha lasciato la scuola per dedicarsi al calcio, spinto dalle voci che lo etichettavano da star. Il futuro può avere risvolti pesanti.
E fare un passo sbagliato, a Secondigliano, è più facile di quanto possa sembrare.
Fortuna vuole che, nella provincia aretina, qualcuno si ricorda della storia del bambino prodigio. Non si tratta di un’altra squadra granata, quella del capoluogo di provincia, ma del biancoblu della Sangiovannese. Ed è qui che inizia la vera e propria carriera professionistica di Vincenzo Sarno: tanta C, esordendo ancora minorenne, qualche piccolo sprazzo di B, passando per piazze storiche del calcio come Brescia e Reggio Calabria.
Oggi Enzino è un ragazzo maturo, con la testa sulle spalle: è padre di un bambino, e sembra aver trovato la sua giusta dimensione in un altro luogo affamato di calcio.
E chissà se, un giorno, il nome di Vincenzo possa tornare sulla bocca di tutti, come lo è stato quasi 17 anni fa, magari con una maglia di Serie A.
I sogni, ad 11 anni o a 28, sono sempre gli ultimi a morire…
Fonte: www.footballpills.com